In arrivo 3 miliardi con la Legge di Bilancio per la riduzione delle liste di attesa e il rinnovo dei contratti di medici e comparto.
Nel 2024, la spesa pubblica per la sanità dovrebbe sfondare quota 136 miliardi di euro, una cifra mai raggiunta finora a cui però fa da contraltare il trend di diminuzione dell’incidenza della stessa rispetto al PIL che, dopo il 7,6% del 2020, perderà circa un punto percentuale nei prossimi anni, tornando ai livelli pre-pandemici e allontanandosi ulteriormente da paesi come Germania e Francia, che spendono oltre un decimo di PIL per la sanità.
Sono solo alcuni dei dati presentati lo scorso 28 novembre in Bocconi dai ricercatori del Cergas per la consueta radiografia del SSN.
Il Rapporto OASI è molto ricco e, anche quest’anno, disponibile in modalità open source: https://cergas.unibocconi.eu/oasi-2023.
Al di là delle consuete evidenze quantitative, che consentono di valutare la dimensione dei problemi e formulare proposte conseguenti, il convegno ha offerto diversi spunti di riflessione.
Trend demografici e spesa pubblica
I dati che si ottengono dall’ultimo Rapporto ISTAT fotografano l’ “inverno demografico” che non accenna a fermarsi e anzi avanza inesorabile.
Al calo delle nascite (1,2 figli per donna) corrisponde un progressivo invecchiamento della popolazione con l’aspettativa di vita che, dopo il leggero calo registrato durante il Covid, è stimata in 80,5 anni per gli uomini e 84,8 per le donne.
Per quanto concerne la spesa pubblica per il welfare, si stima invece che quella pensionistica sarà quattro volte più alta di quella per la sanità entro il 2040, con conseguenze che si faranno sentire anche su istruzione e politiche sociali.
Inoltre, benché la pensione pubblica assorba il grosso della spesa, questa potrebbe non bastare nei prossimi anni, con i giovani più orientati e convinti di costruirsene una “di scorta”, che permetterebbe loro di garantirsi un salvadanaio previdenziale adeguato ad affrontare serenamente la vecchiaia.
Rebus sostenibilità: innovazione o razionamento?
Tornando a parlare di sanità, uno dei nodi ancora irrisolti della stagione post pandemica è il recupero affannoso delle liste di attesa.
Secondo gli ultimi aggiornamenti, meno della metà delle stesse sono state smaltite a livello nazionale, con la media che “salva” le regioni del centro-sud dove non si arriva neanche a 1/3 dei ricoveri programmati recuperati. Lo stesso dicasi per le prestazioni territoriali che riflettono su per giù le stesse dinamiche di squilibrio regionale.
E qui i ricercatori del Cergas evidenziano un fenomeno alquanto anomalo e paradossale: le regioni storicamente più “performanti”, come Emilia-Romagna e Toscana, hanno prodotto maggiori disavanzi nonostante l’applicazione dei LEA, la riduzione delle liste di attesa e gli esiti di salute.
Un indicatore rappresentativo di questi ultimi è la speranza di vita in buona salute per il quale, ad esempio, si stimano 3,2 anni di differenza tra la provincia autonoma di Trento e la Campania.
Le regioni del sud, per contro, presentano indicatori di performance peggiori rispetto alle regioni del centro-nord ma hanno perseguito l’equilibrio economico-finanziario.
Il contenimento della spesa però non può essere la ricetta per affrontare le future sfide a cui è chiamata la sanità pubblica.
Nel Rapporto si legge che la soluzione dell’efficientamento dell’offerta è auspicabile per superare le crisi congiunturali ma che, in contesti dinamici, è indispensabile saper adattare il proprio posizionamento strategico.
Detto altrimenti, serve evolvere da una “logica prestazionale” a una logica di “governo della domanda” identificando i bisogni che, attraverso la prescrizione, diventano domanda e in linea con l’offerta in quel momento disponibile senza che si superi così la fisiologica soglia delle liste di attesa.
Secondo i ricercatori che hanno realizzato il Rapporto 2023, innovare significa accettare la sfida di cercare spazi strategici di innovazione, pur in un contesto di risorse sempre più scarse e fabbisogni crescenti.
Andamento consumi privati in sanità
Il terzo e ultimo tema è quello legato alla parte di spesa sanitaria totalmente a carico dei cittadini e quella intermediata dagli enti di sanità integrativa.
La prima, che definiamo anche spesa privata out of pocket, nel 2022 si attesta a 41,5 miliardi di euro, ben + 20% rispetto a un decennio fa; la seconda si ferma a 4,7 miliardi, ovvero poco più di 1/10 della composizione della spesa privata.
La spirale inflattiva ha fatto diminuire di mezzo punto i consumi sanitari che, nel paniere delle famiglie pesano per il 3,5%, dietro a tabacchi, alcolici e narcotici al 4%.
Occhio però che i volumi delle prestazioni a pagamento 2019-21 è in costante aumento, con il 50% delle visite specialistiche e il 33% degli esami diagnostici erogati in regime di solvenza piuttosto che in convenzione con i fondi sanitari integrativi.
In attesa delle evidenze 2022, non ci resta che verificare se questo trend si consolida e se ci si sposterà da forme contingenti a forme strutturali di consumi privati in sanità, in un contesto in cui l’universalismo è selettivo, anche se non dichiarato, e soprattutto mal governato.
A cura di Francesco Capria
CENTRO STUDI ASSIDIM