Le assistenti personali alla cura sono una parte consistente della spina dorsale del welfare italiano e rappresentano un sostegno fondamentale della popolazione non autosufficiente, ma le conosciamo davvero?
Diciamo “le”, perché la percentuale di coloro che definiamo nel gergo in uso “badanti”, vede, in 8 casi su 10 una donna a ricoprire questo ruolo. Il background è prevalentemente migratorio, con provenienza soprattutto dall’Est Europa (71,6%) e si tratta di persone dotate di un forte spirito di sacrificio e soggette ad una “doppia presenza”: quella che le porta a sostenere economicamente ed emotivamente la propria famiglia, nella maggior parte dei casi rimasta in patria e quella che le porta a diventare parte integrante anche delle famiglie italiane nelle quale vengono impiegate.
Nel dettaglio, il ruolo dell’assistente convivente riguarda varie mansioni, che vanno ben oltre la sola cura. Secondo gli ultimi dati Censis, le collaboratrici domestiche nel nostro Paese hanno raggiunto quota 1 milione 538 mila, di queste, il 41.5% hanno affermato di occuparsi dell’accudimento di anziani e il 27,6% di assistenza a persone non autosufficienti. Addizionalmente, il loro inserimento nel contesto familiare in cui lavorano, le porta anche ad occuparsi delle pulizie di casa (l’80,9%), del cucinare (48,7%), e del fare la spesa (37,9%). Delle vere e proprie “tuttofare”.
Il lavoro della caregiver è riconosciuto dalle stesse come fonte di estrema soddisfazione e come motivo di orgoglio nell’essere il sostegno della crescente non-autosufficienza in Italia. Secondo gli ultimi dati del Censis, infatti la percentuale di italiani in una condizione di non-autosufficienza è in aumento e con un’incidenza pari al 28,4% (circa 4 milioni di individui) nella popolazione over 65.
L’importanza di queste caregiver è quindi sempre stata evidente, ma durante la pandemia del covid-19 ci si è davvero resi conto del sostegno imprescindibile che rappresentano per la nostra società.
La letteratura sul tema ha dimostrato come queste donne vivano, già dal principio, una situazione per molti versi precaria, legata alla difficoltà di stabilirsi in Italia, adattarsi ad un contesto sociale nuovo, e una prospettiva lavorativa limitata. Svolgono un lavoro assolutamente fondamentale e allo stesso tempo faticoso, che richiede un’attenzione perenne, che le porta a trovare difficile mantenere i legami con la loro famiglia e le persone care che sono rimaste in patria.
Pare centrale, dunque, considerare come questa condizione già di per sé ostica sia stata esacerbata
in tempi di crisi sistemica, interrogarsi sugli effetti della pandemia e guardare agli “angeli custodi” che hanno protetto i nostri anziani.
La ricerca di tesi magistrale della sottoscritta, che ha portato ad intervistare 20 donne ucraine che avessero lavorato come badanti nella città di Milano durante il Covid-19 ha fatto emergere le considerazioni di questo articolo.
I primi mesi dell’anno 2020 hanno segnato, con la pandemia del Covid-19, uno stravolgimento totale della vita di tutti. L’estrema situazione di crisi sanitaria ha inoltre esacerbato e portato alla luce le problematiche latenti della nostra società. Nonostante il nostro Paese abbia dimostrato assoluta efficienza e diligenza nella gestione della pandemia, è importante fare menzione anche dei nervi scoperti del sistema, in un’ottica di comprensione volta all’auto-miglioramento per il futuro. Durante i due anni della pandemia, la popolazione anziana si è ritrovata particolarmente esposta al nuovo virus; assieme ad essa, a gestire la criticità vi sono stati i caregiver. Questo articolo ha proprio come obiettivo quello di sottolineare l’importante ruolo che ricoprono nella società italiana e che si è rivelato con particolare virtù proprio nei difficili momenti affrontati dall’Italia durante la pandemia. In aggiunta agli sforzi e agli impegni quotidiani già richiesti nelle mansioni di queste donne, si è creata una importante necessità di responsabilità di salvaguardia degli anziani da questo nuovo pericolo. Molte badanti, poi, si inseriscono loro stesse in un’età che spesso super a 60 anni, aumentando ulteriormente il grado di responsabilità e preoccupazione.
La prima importante osservazione è quella che sottolinea come il Covid-19 abbia esacerbato il senso di pressione e della responsabilità di queste donne nel proteggere la fascia più vulnerabile e a rischio della popolazione, a causa dell’isolamento e spesso aumento dell’orario di lavoro.
Ciò che è emerso, poi, nel complesso, da queste testimonianze è un senso generale di bisogno di agire, di riconoscere la vitalità del lavoro della badante durante la pandemia. È stato registrato un senso di consapevolezza sul fatto che le case di cura e le RSA fossero particolarmente colpite e soggette a morti quotidiane. L’impegno e la cura personale fornita agli anziani dalle loro badanti (anche ovviamente in virtù del godimento di un maggiore grado di isolamento da contagi esterni), ha permesso alle donne intervistate di essere orgogliose di aver aiutato i propri assistiti in questi momenti difficili e avergli, in qualche modo “salvato la vita”. Alle famiglie degli anziani assistiti che purtroppo sono venuti a mancare, che spesso non hanno potuto avere contatti con loro e che hanno affidato totalmente la loro cura nelle mani delle badanti, si riconosce un supporto totale dato alle donne intervistate, sia mantenendo la retribuzione anche dopo la dipartita dell’anziano, sia concedendo l’uso della casa dell’anziano defunto fino alla fine delle restrizioni del lockdown. Le intervistate hanno anche testimoniato come queste famiglie le abbiano guidate nel loro cammino verso una nuova occupazione, aiutandole a trovare un altro lavoro. Questi risultati hanno messo in evidenza l’importanza del sostegno della famiglia occupata e del carattere positivo del fenomeno della familiarizzazione della badante con la famiglia italiana per cui lavora. Sempre più durante la pandemia, infatti, si è rafforzato quel rapporto che porta i nuclei italiani che occupino delle badanti a considerarle come “una di famiglia”. Allo stesso tempo, ciò che è emerso da questa ricerca è il ruolo essenziale delle badanti, o più in generale della figura del “caregiver” nella nostra società: partendo dall’episodio della pandemia e confrontandolo con i dati odierni è possibile comprendere come la richiesta di un’assistenza domiciliare per le persone anziane, malate, disabili o non-autosufficienti sia in costante crescita.
Il welfare, nel campo della cura e dell’assistenza della persona, risulta quindi un’esigenza che un’assistenza domiciliare integrata può far fronte a questi elevatissimi fabbisogni assistenziali in maniera adeguata, agevole.
Capire e discutere su chi siano queste figure, dunque, è di fondamentale importanza in quanto evidenzia i problemi e la precarietà a cui queste donne sono quotidianamente esposte, prima ancora di considerare l’ulteriore precarietà generata da un’epoca segnata da una condizione di “crisi sistemica” e di incertezza.
Nonostante tutto prevalgono purtroppo in questo settore l’informalità e un carente impiego di servizi sia pubblici che integrativi, che rappresentano una soluzione alternativa all’informalità e che possono aiutare a migliorare la qualità della relazione con l’assistito e anche con la badante.
Emergono importanti dati che sottolineano una condizione retributiva sia esigua che irregolare, che dunque può aggravare la qualità della vita e impattare i carichi di cura richiesta, la solitudine e l’isolamento portati dal lavoro non tutelato e dunque virtualmente 24h/24.
Considerando dunque la rilevanza e il valore che la figura del caregiver familiare riveste nel contesto italiano, sarebbe importante agire per supportare questa parte del settore della cura, contribuendo al suo rafforzamento nel mercato del lavoro formale e migliorando le generali condizioni dello sviluppo e delle premesse di questa professione.
Lisa Antonutti
Intern ASSIDIM