Sono stati recentemente pubblicati i risultati di un’indagine condotta da Laboratorio Futuro a cura di Massimo Bordignon e Gilberto Turati (Fonte: https://www.laboratoriofuturo.it/ricerche/i-dilemmi-del-servizio-sanitario-nazionale-presente-e-futuro/) finalizzata a comprendere cosa pensano gli italiani del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
L’indagine è stata realizzata online tra il 31 marzo e il 7 aprile del 2022 su un campione rappresentativo di 3.000 cittadini italiani tra i 18 e i 64 anni, differenziato per genere, età, area geografica, titolo di studio e condizione occupazionale.
Di quali riforme avrebbe davvero bisogno il SSN? Quali sono le percezioni degli italiani sul SSN? Sono percezioni corrette? Quale sanità vorrebbero per il futuro?
Sono queste le domande a cui cerca di rispondere l’indagine al fine di costruire alcune ipotesi per una riforma ormai imprescindibile.
Il primo tema affrontato è quello del finanziamento del servizio sanitario nella percezione degli italiani, considerando che negli ultimi anni il dibattito si è focalizzato su un suo drastico definanziamento.
In realtà, negli ultimi vent’anni, dal 2000 al 2019 (ultimo dato non influenzato dall’emergenza pandemica), la spesa pubblica nominale è cresciuta da 1.179 € a 1.904 € pro capite (+61%), quella reale (avendo come base i prezzi del 2015) da 1.547 € a 1.856 € pro capite (+20%).
Dall’indagine emerge che un italiano su cinque pensa che si spenda molto di più, ma uno su tre pensa che si spenda “un po’” o “molto” di meno rispetto a vent’anni fa. Se a questi ultimi aggiungiamo quelli che ritengono che la spesa non sia cambiata ne risulta che un italiano su due ha una percezione errata.
La percezione della variazione della spesa potrebbe essere guidata dalla percezione delle modifiche nella qualità dei servizi offerti. È stato pertanto chiesto al campione “Cosa pensa della qualità dei servizi offerti dal Servizio Sanitario Nazionale?”. Se il 31% degli italiani pensa che la spesa si sia ridotta in vent’anni, è il 40% degli italiani a rispondere che la qualità è un po’ o molto peggiorata rispetto a vent’anni fa; solo il 7% pensa che la qualità sia molto migliorata.
Un altro aspetto interessante per contestualizzare le percezioni sulla spesa è ragionare sul finanziamento, che è preordinato alla spesa. Negli anni Ottanta e dalla metà degli anni Duemila, il SSN è stato caratterizzato da disavanzi ripetuti e importanti. Dal 2010, il finanziamento comincia a crescere di circa 1 miliardo di euro all’anno, con la sola eccezione del 2013, quando il finanziamento si riduce in termini nominali (ma viene stabilizzato in rapporto al Pil, anche a causa della recessione economica del 2012).
È solo alla fine del 2019, con la legge di Bilancio per il 2020, che il ministro della salute Roberto Speranza riesce a strappare un raddoppio dell’incremento del finanziamento al SSN per gli anni successivi, da 1 a 2 miliardi di euro. Come sappiamo, invece, le risorse impegnate nel SSN saranno molte di più a causa della pandemia; per il 2020 si arriva infatti ad un finanziamento complessivo di 120 miliardi di euro, invece degli attesi 116 miliardi negoziati dal ministro con la finanziaria.
Se questi sono i numeri del finanziamento del SSN, le percezioni sono molto diverse, anche a fronte di un sondaggio relativo all’affermazione “il finanziamento della sanità pubblica prima del Covid si è costantemente ridotto”. Il 49% degli italiani si dichiara abbastanza o molto d’accordo e un altro 32% non è né in accordo né in disaccordo; solo il 6% non è per niente d’accordo.
Analizzando le domande dell’indagine in merito al confronto europeo, risulta che un italiano su due pensa che il nostro paese spenda meno o addirittura molto meno della media europea, accumunando l’Italia alla Grecia paese nel quale la spesa pubblica pro-capite è la metà di quella italiana.
L’indagine ha poi affrontato il tema della de-ospedalizzazione, il tentativo di limitare le degenze negli ospedali e offrire i servizi che non richiedono ospedalizzazione tramite strutture territoriali.
Anche in questo caso le percezioni sono distorte, ma forse meno che non per la spesa e il finanziamento. Per esempio, alla domanda se solo il nostro paese (tra i principali paesi europei) avesse deciso di ridurre il numero di posti letto risponde di essere d’accordo o molto d’accordo il 36% degli intervistati.
È interessante anche esplorare cosa pensino gli italiani della motivazione sottostante alla scelta di de-ospedalizzare. I risultati dell’indagine ci dicono che:
- il 18% pensa che la scelta sia stata dettata dalla necessità di contenere la spesa per rispondere ai vincoli europei
- un altro 37% pensa che la scelta sia stata dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica in generale;
- il 27% degli intervistati pensa che la ragione sia quella di favorire l’ospedalità privata;
- solo il 17% individua la ragione nella necessità di risparmiare risorse per investirle sulla sanità territoriale e la cura delle malattie croniche.
Una possibile interpretazione di questi risultati è che persista una visione dell’ospedale come unico “luogo della cura”, una visione tradizionale che, per esempio, non tiene conto dei miglioramenti della tecnologia e delle possibilità introdotte dagli strumenti della sanità digitale.
Risultati simili si ottengono anche a proposito della chiusura dei piccoli presidi. Più di un italiano su due pensa che la chiusura dei piccoli ospedali sia dovuta al rispetto dei vincoli finanziari imposti dall’Europa o a generiche esigenze di controllo della spesa.
Ultimo stimolo per i rispondenti è stato quello di volgere lo sguardo al futuro.
Il primo tema di rilievo è quello della governance del SSN, di cui molto si è parlato durante il primo anno di Covid-19. Dall’indagine emerge che il 54% degli intervistati è a favore di una soluzione decentrata a livello regionale, con lo Stato nel ruolo di regista che fissa le regole del gioco per tutte le regioni. In sostanza, la maggioranza degli intervistati è a favore del sistema attuale, disegnato dalla riforma costituzionale del 2001. Si tratta quindi di farlo funzionare, magari con qualche accorgimento che ne possa migliorare la performance.
Una seconda questione rilevante per il futuro della sanità italiana è quella relativa al ruolo degli ospedali e delle cure territoriali. È stato chiesto agli italiani se la tutela della salute debba coinvolgere maggiormente l’ospedale oppure debba coinvolgere maggiormente i medici di medicina generale (che devono diventare dipendenti del SSN). Il 54% degli intervistati opta per la seconda opzione, riconoscendo la necessità di una riforma della medicina territoriale che punti a coinvolgere maggiormente nella cura dei pazienti una categoria che finora ha preferito difendere strenuamente lo status quo.
A cura di Marcello Marchese
Presidente ASSIDIM