Con i decreti legislativi 502/92 e 517/93, come noto, si introdusse il principio della gestione manageriale della sanità per il quale le vecchie USL (Unità Sanitarie Locali) divennero ASL (Aziende Sanitarie Locali), ovvero aziende dotate di autonomia organizzativa, gestionale, tecnica, amministrativa, patrimoniale e contabile.
Le USL nel tempo si erano dimostrate incapaci di garantire livelli qualitativi standard delle prestazioni sanitarie, oltre che essersi caratterizzate per una poco efficiente gestione sia amministrativa che economico-finanziaria; si trattava di organi politici gestiti dai Comuni che però, anche a causa dei fabbisogni allora emergenti e legati ad aspetti demografici ed epidemiologici (invecchiamento della popolazione, aumento delle cronicità, etc.), producevano enormi disavanzi nella spesa che venivano poi ripianati a piè di lista dallo Stato Centrale.
Le ASL sono oggi al centro del dibattito pubblico dacché, non avendo la prerogativa di decidere le politiche sanitarie del paese, si trovano nella delicata condizione di doverle poi implementare fronteggiandone, nel bene e nel male, le ripercussioni.
Ma cosa è cambiato nel corso degli ultimi 30 anni con l’aziendalizzazione della sanità pubblica? Quali risultati conseguiti e cosa c’è ancora da migliorare?
L’articolo online pubblicato su Huffington Post: Cosa è cambiato nel servizio sanitario nazionale a trent’anni dalla Legge 502 – HuffPost Italia (ampproject.org) fornisce un’efficace sintesi riportando le principali evidenze quantitative che permettono un confronto con lo stato di salute della sanità italiana ante riforma ’92.
Innanzitutto, gli accorpamenti di ASL e presidi ospedalieri territoriali (da quasi 659 USL si è passati a 209 ASL) realizzati per ottimizzare le risorse e fornire una risposta adeguata alla sostenibilità del sistema sanitario senza però indietreggiare sul fronte degli outcomes e, pertanto, continuando a garantire a tutti i cittadini accessibilità, equità e sicurezza delle cure.
Nell’articolo si citano altresì alcuni indicatori di esito/processo – tra cui i più significativi sono l’intervento chirurgico per la frattura del femore entro 2 giorni, la riduzione dei parti cesarei, aggiungerei anche l’intervento per la cataratta da eseguire in regime di day hospital, etc. – che evidenziano un progressivo miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria e, nella fattispecie ospedaliera, per i quali la 502 del ‘92 rappresenta uno spartiacque rispetto al passato.
La sfida aperta oggi sta tutta nella capacità di misurare gli indicatori dell’assistenza territoriale, anche alla luce delle conseguenze drammatiche manifestatesi con la pandemia.
Un territorio che, già prima della pandemia, costituiva un po’ l’anello debole della sanità pubblica con forti squilibri regionali nell’erogazione delle prestazioni e con un’integrazione ancora incompiuta con i presidi ospedalieri.
In tal senso, una spinta per alleggerire il carico per gli ospedali con pazienti che necessitano di cure a “intensità clinica medio-bassa” e di degenze di breve durata, potrebbe arrivare con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) attraverso ingenti finanziamenti in conto capitale che si sommano ai già stanziati fondi nazionali.
Di questi, circa 15 miliardi di euro sono destinati al comparto sanità: in particolare, la mission che caratterizza i decreti attuativi che le Regioni dovranno adottare nel rispetto di scadenze ben precise è quella di rispondere a logiche di innovazione, digitalizzazione e riorganizzazione della sanità territoriale, con la realizzazione di oltre 1.300 Case della Comunità, 400 Ospedali di Comunità e 600 Centrali Operative Territoriali. [Fonte: Osservatorio Cittadinanzattiva]
Aziendalizzazione che non diventa sinonimo di privatizzazione se, come dimostrato dagli interventi realizzati e gli obiettivi raggiunti, non si è perso mai di vista il “paziente”, sempre al centro nonostante i cambiamenti.
Per far sì allora che la centralità del paziente rappresenti una visione e non un mero slogan per la sanità del futuro, sempre più moderna, innovativa ma sostenibile, si possono realizzare sinergie positive tra pubblico e privati poiché l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle cronicità portano con sé un aumento della spesa che, nonostante le risorse garantite dal PNRR, difficilmente potrà essere assorbito dal Servizio Sanitario Nazionale.
A cura di Francesco Capria