Che l’infezione da Covid-19, oltre a provocare ospedalizzazioni e decessi, potesse rivelarsi un acceleratore di differenze sociali era purtroppo prevedibile.
Nella lotta al virus, il perdurare di misure restrittive ha avuto tra le sue conseguenze anche quella di impedire l’accesso alle cure e la continuità dei percorsi assistenziali per le persone più fragili e affette da disabilità.
C’è il dramma delle persone anziane, minori, disabili con problemi di salute mentale e di dipendenze decedute nelle strutture residenziali, di cui il Covid-19 è stato causa diretta o indiretta e che rappresentano una percentuale significativa dei decessi per Covid in Europa.
È andata un po’ meglio alle persone assistite a domicilio per le quali, grazie all’impegno costante dell’ “esercito silente” dei caregiver e alla presenza di servizi a forte caratterizzazione comunitaria, le conseguenze legate alle restrizioni sono state più tollerabili.
Questo avvalora la riflessione sulla prospettiva di domiciliarità della cura e protezione che matura da anni.
Non solo anziani e disabili ma la scure del Coronavirus s’è abbattuta sulle persone economicamente più svantaggiate.
Un recente studio condotto dall’Università di Bologna, in collaborazione con l’Istituto Spallanzani, oltre a certificare l’elevata distribuzione di pazienti con comorbilità tra i ricoverati per Covid, ha dimostrato una certa sovra-rappresentazione tra gli stessi di quelli con uno status socio – economico più basso.
Diabete, cardiopatie, BPCO e le patologie croniche, il cui legame con il Coronavirus determina il peggioramento delle condizioni di salute fino alla morte del paziente, sono più frequenti nelle fasce sociali meno istruite e più svantaggiate.
Del resto, non sorprendono i risultati dello studio poiché rappresentano un’ulteriore conferma del principio per cui le disuguaglianze economiche si riflettono nell’accesso al bisogno di tutela della salute.
Gli “ultimi” nella scala sociale diventano inesorabilmente i primi nel subire le conseguenze della pandemia.
Potrebbe esserci però una sola e singolare eccezione…
Secondo alcuni studi – tra i quali citiamo quello della Società Italiana Tossicodipendenza (SIDT) completato nel periodo maggio – luglio 2020 – la prevalenza di contagi da Covid-19 nella popolazione dei tossicodipendenti sembra essere 7 volte inferiore rispetto a quella complessiva della popolazione generale.
L’ipotesi, tutta da verificare, è legata alla reazione innescata dal virus nel sistema immunitario delle persone affette da dipendenze, indebolito negli anni per via di inoculazioni di sostanze diverse e perciò meno sensibile nella risposta al contagio da Covid, perlomeno tra le persone che manifestano dei sintomi.
Per chi volesse approfondire l’argomento, rimandiamo alla lettura dei due articoli:
- http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=89539
- https://www.ilmessaggero.it/italia/tossicodipendenti_contagio_coronavirus_immuni_drogati-5207800.html
Vi ricordiamo infine che c’è ancora qualche giorno di tempo per compilare la nostra survey sugli stili di vita che trovate sul sito www.assidim.it.
I dati raccolti ad oggi e che vi presenteremo a breve sono molto interessanti. Stay tuned!
A cura di Francesco Capria