La crescente diffusione dei piani di welfare aziendale finanziati attraverso la conversione dei premi di risultato (cd. flexible benefit) sta portando importanti vantaggi per le aziende ed i lavoratori in termini di riduzione del cuneo fiscale accompagnata alla possibilità di accedere ad una serie di servizi in passato non presenti nei piani di employee benefit o dedicati solo a figure apicali.
La possibilità di beneficiare di rimborsi delle spese sostenute per l’istruzione, la salute e la cura della non autosufficienza dei familiari unitamente ad una serie di servizi legati al tempo libero, alla formazione ed all’assistenza alla famiglia garantita dai piani di flexible benefit rafforza le sempre più ridotte prestazioni del nostro welfare pubblico in un’ottica di equità ed inclusione.
Ciononostante permangono grosse aree di criticità che ancora troppe aziende fanno fatica a gestire. Ci riferiamo alla copertura dei cosiddetti “rischi biometrici” (morte, invalidità e non autosufficienza del lavoratore) che, per loro natura e per il quadro normativo in essere, non possono trovare spazio nei piani di flexible benefit.
Come noto, tali rischi trovano una copertura sempre più limitata dalle prestazioni del nostro welfare pubblico anche a seguito delle riforme introdotte negli ultimi trent’anni al nostro sistema previdenziale e assistenziale. Il passaggio al metodo contributivo nel calcolo della pensione, le contenute prestazioni dell’INAIL e l’assenza di reali sostegni in caso di non autosufficienza espongono le famiglie italiane al rischio di doversi trovare con risorse economiche insufficienti al verificarsi di eventi che non consentano di proseguire l’attività lavorativa.
Tale fenomeno non è ancora ben conosciuto dai lavoratori e dai responsabili di welfare delle aziende con la conseguenza che gli sforzi messi in atto negli ultimi anni sul fronte welfare e wellbeing possano essere vanificati da eventi non gestiti dai piani di welfare in essere. A ciò si aggiunge una gravosa eredità del passato che ci consegna uno scenario dove alcune numericamente piccole categorie di lavoratori, ad esempio i Dirigenti, godono di eccessive coperture offerte dalle aziende e la stragrande maggioranza dei lavoratori deve affidarsi al solo welfare pubblico.
Ma torniamo al quadro di riferimento generale. Il welfare pubblico si è ridimensionato ma la contrattazione collettiva ha cercato di far fronte alla crescente scopertura. Ciò è avvenuto ormai diversi decenni fa per la categoria dei Dirigenti delle aziende industriali e delle aziende del commercio garantendo la previdenza complementare, l’assistenza sanitaria integrativa, la copertura del rischio morte e invalidità.
Più recentemente i contratti collettivi hanno esteso l’assistenza sanitaria integrativa a tutte le altre categorie fornendo un valido supporto ai dipendenti nel sostenere le spese sanitarie.
Salve rarissime eccezioni, i contratti collettivi nazionali non forniscono invece tutele nel caso di morte, invalidità e non autosufficienza lasciando così le famiglie in difficoltà al venir meno della capacità di produrre reddito di uno dei suoi componenti.
E le aziende cosa fanno? Se osserviamo le politiche aziendali realizzate attraverso gli accordi o i contratti integrativi, o unilateralmente attraverso i regolamenti aziendali, ci rendiamo conto che c’è ancora da costruire un importante pilastro del welfare.
L’Ufficio Studi di Assidim ha analizzato i dati rilasciati da importanti società di consulenza HR nelle loro indagini retributive unitamente a quelli relativi al portafoglio di oltre 1.800 aziende associate ad Assidim.
Quello che emerge è un fenomeno ben noto ma spesso taciuto. Le aziende rafforzano tutte le prestazioni già previste dai CCNL per i dirigenti, spesso con prestazioni eccessivamente generose, integrano in misura inferiore quelle riservate ai Quadri e spesso trascurano le altre categorie.
Concentrandoci sui non Dirigenti, l’analisi dei dati ci dice che meno di un terzo delle aziende fornisce una copertura nel caso di morte e invalidità da ogni causa del lavoratore, mentre quelle che forniscono una copertura in caso di invalidità permanente da malattia sono al di sotto del 15%. Ancora intorno al 5% il numero delle aziende che fornisce prestazioni in caso di non autosufficienza.
Più frequente è l’offerta di coperture per il rischio morte ed invalidità da infortunio, anche extraprofessionale, ma la considerazione che ne deriva è disarmante. Come azienda decido di tutelare il dipendente ed i famigliari in caso di morte e invalidità da infortunio ma non sono così sensibile al tema della morte e invalidità da malattia.
In conclusione, rimangono due grandi criticità nei sistemi di welfare aziendale: un sistema a piramide generoso con le figure apicali ma limitato nelle prestazioni e nella platea dei destinatari per la restante popolazione aziendale.
La soluzione: conoscere le aree di scopertura del welfare pubblico, colmare questi gap e, in ottica di equità e inclusione, capovolgere la piramide!